venerdì 21 ottobre 2016

il corpo e la comunicazione

In attesa di dedicare un pò di spazio a questa tematica posto qui un'intervista che mi è stata fatta e che prescinde dal settore meramente clinico, ma che credo possa essere già un ottimo spunto di riflessione sulla tematica corpo e comunicazione, una vecchia intervista pubblicata sul numero 10 di Voce Nostra ( rivista Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti) del 2014: Titolo: Il nostro corpo: una risorsa di comunicazione Autore: a cura di Angela Pimpinella Articolo: «I nostri primi maestri di filosofia sono i nostri piedi, le nostre mani, i nostri occhi» (Rousseau, «Emilio»). Ho iniziato questo articolo con una citazione perché a me molto cara e perché ha suscitato in me il desiderio di fare l'intervista alla dott.ssa Gilda Di Nardo; ecco qui di seguito il testo. D: Innanzitutto puoi dirmi qualcosa della tua formazione e della tua esperienza professionale? E da quanto tempo lavori in ambito di minorazione sensoriale? R: Sono psicologa e psicoterapeuta, mi sono specializzata in psicoterapia umanistica integrata presso l'Aspic di Roma; ho 37 anni e da quando ne avevo 23 lavoro nel sociale. Nel corso degli anni ho avuto modo di conoscere e lavorare in vari settori del mondo della disabilità intellettivo-relazionale, ho avuto esperienza come ricercatrice (approfondendo in particolare le tematiche della comunicazione non verbale) e ho curato alcune pubblicazioni, e da sette anni oramai lavoro anche in ambito di minorazione sensoriale nel servizio di assistenza scolastica per ciechi e ipovedenti, presso il diurno Roma 2 per persone sordocieche (presso l'Ente Regionale S. Alessio Margherita di Savoia per i ciechi) e mediatore Malossi (presso l'Uici); svolgo inoltre attività di formazione (tutor per tirocinanti di psicologia presso Come un Albero Onlus, formatrice per volontari accompagnatori di persone sordocieche per l'Irifor di Roma, seminari tematici di approfondimento) e la libera professione come psicoterapeuta. Nel corso degli anni ho sempre voluto lavorare sia in ambito clinico che sociale, sia la mia formazione che la mia esperienza risultano abbastanza eclettiche, ma nell'insieme credo di averti fatto un quadro abbastanza completo. D: Va bene, prima di procedere, una domanda mi sta a cuore: credi che una persona sordocieca necessiti sempre e comunque di un sostegno psicologico? R: Accolgo la tua provocazione e sorridendo ti rispondo di no. Ovviamente il sostegno psicologico non ha di per sé a che fare con una condizione di minorazione sensoriale, ma si rivolge a chi ne fa richiesta e ne sente il bisogno o è in condizioni diagnosticabili come patologiche. Se pur la condizione di sordocecità sia fortemente caratterizzante e vincolante nella vita di una persona, non è detto che la persona sordocieca debba avere necessità di intervento psicologico di sostegno. Come per tutti questo dipende dal percorso di vita, dalle possibilità di affermazione di sé e se mai dal desiderio che una persona ha di approfondire o affrontare alcuni aspetti della propria personalità. Conosco persone sordocieche estremamente serene ed equilibrate e persone normodotate che non lo sono affatto e viceversa, se poi parliamo di psicologia del benessere, in questo caso tutti possiamo trovare giovamento da percorsi di consapevolezza e crescita interiore. D: Parlami meglio di quest'ultimo aspetto e in generale, credi che la psicologia abbia strumenti particolarmente utili da offrire ad una persona in condizione di minorazione sensoriale? R: La psicologia del benessere è rivolta al miglioramento delle condizioni psicofisiche della persona senza particolari difficoltà. Si distingue dalla Psicologia Clinica perché non si occupa della patologia, e dal Sostegno Psicologico perché non riguarda interventi attuati in periodi di crisi personale. Il concetto-chiave della Psicologia del Benessere e della salute è il rilassamento e la consapevolezza: attraverso l'acquisizione della capacità di distendersi e rilassarsi la persona acquisisce anche un diverso approccio alla propria esistenza, liberando energie precedentemente impiegate in maniera disfunzionale ed utilizzandole al servizio delle potenzialità inespresse e del miglioramento della relazione con gli altri. Da questo punto di vista la psicologia offre molte possibilità ad ognuno di noi. Il contatto con le proprie emozioni, la consapevolezza di sé e dei propri schemi cognitivi e relazionali sono importanti per tutti noi. Di certo poi la ricerca (processi cognitivi, percezione) può essere molto utile ed offrire il suo contributo in ambito di minorazione sensoriale. D: E nello specifico che mi dici della tua esperienza di laboratorio psicocorporeo con le persone sordocieche? R: Innanzitutto che mi diverto, e lo specifico perché molto spesso quando dico di lavorare con persone sordocieche l'interlocutore resta sgomento davanti all'entusiasmo con cui comunico quest'esperienza e immagina invece una situazione negativa e triste. In realtà stare in relazione anche attraverso il corpo ed esprimersi attraverso esso è un'occasione molto bella, significativa e a tratti divertente. Nello specifico, il laboratorio psicocorporeo che conduco con persone sordocieche e i loro interpreti è ispirato alle tecniche della bioenergetica, pur rimanendo ad un livello soft, in cui piuttosto che andare a fondo e utilizzare gli aspetti che definirei più «esplosivi» della bioenergetica, vengono utilizzati i giochi relazionali e gli esercizi che permettono al fisico di «sbloccare» le energie negative, i blocchi, e alla mente di trovare rilassamento e benessere. Ad un certo livello gli esercizi che uso nel laboratorio potrebbero apparire come semplici esercizi fisici, una sorta di ginnastica dolce, ma in realtà ad ogni movimento, posizione, gioco, attraverso il corpo si accompagna una riflessione ed esplorazione sulle emozioni e la relazione con sé e con l'altro che poi passa anche per una condivisione finale di vissuti in gruppo. D: Puoi spiegarmi qualcosa in più sul legame corpo mente e del perché ritieni particolarmente adatte ad una persona sordocieca le tecniche psicocorporee? R: Beh, inevitabile citare gli antichi col celebre «mens sana in corpore sano»; detto in maniera più attuale corpo e mente non possono essere considerati come due entità separate, ma estremamente legate tra loro. Per esemplificare, se ho un dolore fisico e mi concentro su di esso con un vissuto negativo, lo amplificherò inevitabilmente, se mi concentro su di esso con animo positivo probabilmente risulterà un po' alleviato. E viceversa se sono abbattuta avrò una maggiore predisposizione ad ammalarmi, mentre se sono positiva avrò maggiori capacità di resistenza e reazione alla malattia. Ad esempio anche in ambito medico è sempre più affermata la rilevanza dei fattori psicologici nei processi di cura. Certo il legame corpo psiche è un qualcosa di molto più complesso, ma in questo poco spazio che abbiamo credo che già gli esempi fatti diano un'indicazione chiara, se pur riduttiva e forse un po' banalizzante. Inoltre, sempre per chiarire, la bioenergetica che ho citato sopra, è un branca della psicologia che sostiene che i blocchi, le tensioni estreme che si collocano nel corpo coincidono a blocchi anche delle energie mentali, delle emozioni, e proprio agendo sul corpo si possono sbloccare anche le energie mentali e le emozioni. Proprio per questo motivo credo che tecniche che intervengono attraverso il corpo siano estremamente adatte alle persone sordocieche, che solitamente e nella maggior parte dei casi già utilizzano il corpo, le mani nello specifico per parlare (lingua dei segni ad esempio); la persona che nasce o diventa sordocieca, davanti al limite imposto dalla minorazione sensoriale, ha comunque un grande strumento per sentire e relazionarsi, il proprio corpo e attraverso di esso impara a percepire ed esprimere sensazioni e intenzioni, per cui esso è uno strumento privilegiato per lavorare su se stessi, sulla propria consapevolezza e capacità relazionale. Inoltre, credo che nel caso delle persone sordocieche, ci sia una specifica da fare: per le persone sordocieche il corpo rappresenta, ancor più che per i «non sordociechi» la propria possibilità di relazione col mondo ma anche il proprio limite, ovvero, «non vedo non sento per cui non vado oltre i limiti che il mio corpo attraverso i sensi mi indica e mi permette». Esistono poi anche dei problemi legati all'equilibrio, all'orientamento e alla coordinazione che possono far sentire la persona sordocieca limitata, insicura nell'esplorazione e nella possibilità di affermarsi e muoversi con tranquillità. In un contesto protetto di un laboratorio psicocorporeo, la persona sordocieca può sperimentarsi, attraverso l'esercizio psicofisico, nella sua capacità di esplorare, di assumere posizioni e posture non abituali e magari ritenute pericolose in altri contesti, può cioè leggermente forzare i propri limiti al fine di ampliare le proprie possibilità di equilibrio ed orientamento. Tutto ciò perciò può tradursi in un accrescimento della consapevolezza di sé psicocorporea, dell'assertività e dell'autostima. Va da sé che negli esercizi di relazione si sperimenta anche la propria capacità di affidarsi, di accettare se stessi e l'altro, di giocare, di dire di sì e dire di no, e tutto ciò è possibile anche attraverso il corpo. Grazie Gilda, è stato molto interessante avere questa possibilità di avvicinarci maggiormente alle capacità comunicative del nostro corpo, e sicuramente leggere quest'intervista potrà essere occasione di una maggiore consapevolezza delle capacità comunicative che il nostro corpo ci offre. a cura di Angela Pimpinella

lunedì 15 febbraio 2016

SOGNI D'ORO

In questo post voglio parlare un pò del sonno, non dei disturbi ad esso legati o dei dati scientifici sul suo andamento ( REM ecc.), ma di alcune questioni legate al ciclo di vita. Osservo infatti che molti tra noi anche laddove non si trovano in situazioni di disturbi del sonno, davanti a sonno irregolare, a saltuarie irregolarità, o a una modificazione costante, sviluppano molte preocuppazioni rispetto ad esso; d'altronde il sonno, al pari dell’aria, dell’acqua e del cibo, rappresenta uno dei bisogni fondamentali dell’uomo ed ha un incredibile potere sulla nostra vita. Se dormiamo bene, ci svegliamo riposati, freschi, vigili, pronti ad affrontare la giornata che abbiamo di fronte. Se non dormiamo bene, ogni aspetto della nostra vita ne risente. Ecco perciò un pò di informazioni. Il sonno normale è uno stato fisiologico consistente nell’interruzione provvisoria del cosiddetto stato di veglia. Nell’uomo, ma in tutti gli animali in genere, il sonno è un irrinunciabile bisogno biologico, necessario per il riposo del corpo e per il ripristino delle normali funzioni fisiologiche. In esperimenti su cavie da laboratorio si è osservato che la privazione del sonno porta alla morte dell’animale. Le prove sull’uomo devono essere interrotte a causa dell’insorgere di numerosi disturbi fra cui delle serie alterazioni del comportamento. Il sonno è causa di numerose modificazioni sull’organismo, la pressione arteriosa si riduce, si abbassano sia la frequenza cardiaca sia la temperatura del corpo, c’è una riduzione della produzione di urina e dell’attività respiratoria, la muscolatura tende a rilassarsi ecc.; praticamente si ha un notevole abbassamento delle richieste metaboliche da parte dell’organismo. Nell’arco della vita, gli esseri umani sperimentano varie tipologie di sonno. Il sonno del neonato è tipicamente polifasico (i neonati dormono più volte al giorno); si passa poi a una fase di sonno bifasico, tipica dei bambini (che dormono alcune ore nel corso del pomeriggio) per poi arrivare al sonno monofasico circadiano tipico della maggioranza delle persone adulte. In età avanzata, in diversi soggetti, il ritmo circadiano dell’adulto viene sostituito da un ritmo polifasico ultradiano (un sonno cioè caratterizzato da alcuni sonnellini diurni). Il tempo necessario all’appagamento del desiderio di dormire varia in base a diversi fattori; il principale fattore è l’età; la correlazione fra durata del sonno ed età è inversamente proporzionale; i neonati dormono circa 17 ore su 24, i bambini di età compresa fra i 2 e i 6 anni dormono in media 13-14 ore al giorno, nel periodo che va dai 6 ai 14 anni, le ore di sonno passano gradualmente da 12 a 9; i soggetti adulti dormono mediamente 7-8 ore; nelle persone anziane le ore di sonno si riducono ulteriormente (5-6 ore di sonno al giorno). Va però precisato che esiste una notevole variabilità interindividuale legata ai fattori più disparati (abitudini, attività lavorativa svolta, clima, sesso, stagione, stato di salute, stile di vita ecc.); è questa variabilità interindividuale che rende difficile definire un quadro patologico relativo ai disturbi del sonno, infatti il solo dato quantitativo delle ore di sonno non è una condizione sufficiente per definire con certezza un eventuale disturbo del sonno. Dire che il fabbisogno del sonno diminuisce con l'età è quindi corretto se ci si limita al solo dato quantitativo. Al neonato occorrono diciotto ore, contro le cinque o sette dell'anziano. Dopo i 25 anni inizia il deterioramento della qualità del sonno, la cui durata rimane costante fino ai 35 anni, ma la cui fase profonda comincia a diminuire dall'iniziale 20% della durata totale. A 35 anni l'uomo passa meno del 5% della durata del sonno notturno nella fase profonda, probabilmente a causa di una riduzione della secrezione di ormone della crescita. Non ci meravigliamo quindi se " non mi faccio più quelle belle dormite di un tempo". Dopo i 50 anni la durata del riposo notturno diminuisce di 27 minuti ca. ogni dieci anni. E il sonno dell'anziano è diverso da quello del giovane, ma molte ricerche hanno evidenziato che negli individui in buona salute, con molti interessi e soddisfatti della loro qualità della vita, la qualità del sonno non si modifica con l'età. È fondamentale conservare il ritmo veglia-sonno più costante possibile ma solo una piccola parte della popolazione riesce a rispettare questa regola. Non è possibile stabilire una durata del sonno ottimale, non esiste un tempo standard, perché questo è un fatto individuale e diverso da una persona all'altra. Importante è la qualità del sonno piuttosto che la quantità che varia secondo le esigenze personali. Inoltre, tutta una serie di fattori, come lo stress o gli orari di lavoro, possono influire negativamente sul sonno e impediscono all'organismo di riposare in modo adeguato.In realtà ogni giorno ed ogni notte siamo soggetti a continui cambiamenti del nostro organismo: la durata del giorno e della notte, le condizioni climatiche e le situazioni che affrontiamo quotidianamente, cambiano in continuazione, seppur in alcuni casi in modo impercettibile. Il tempo da dedicare al sonno è un discorso delicato, perché dormire poco crea tutta una serie di disturbi, ma dormire troppo a lungo causa altrettanti fastidi. Chi dorme male, poco e non riposa a sufficienza diventa irascibile, nervoso, perde la concentrazione, la memoria e si deprime. Chi dedica troppo tempo al sonno si innervosisce e accusa un calo del rendimento esattamente come chi dorme poco. Saper dormire in modo regolare, per un numero di ore adeguato alla nostra esigenza fisica è sinonimo di salute e di benessere sia fisico che mentale .  Alcuni fattori esterni possono condizionare l'esigenza personale del sonno. Variazioni ormonali, tipiche quelle che avvengono nella donna durante il ciclo mensile, influiscono sulla qualità e sulla quantità del sonno. Un fatto discusso è quello del sonnellino pomeridiano, abbastanza comune nella nostra cultura mediterranea. Dormire nelle ore pomeridiane può aiutare, può avere un effetto benefico, può dare un piacevole sollievo; ma non può sostituire il sonno notturno, ne si può pensare di recuperare le ore di sonno perse durante la notte con il sonnellino del pomeriggio.  Il sonno pomeridiano non dovrebbe mai durare per più di trenta minuti, perché con un riposo più lungo si passerebbe al sonno profondo dal quale è difficile risvegliarsi e questo ci fa sentire peggio di come ci sentivamo prima del riposo. Tutta da approfondire è anche la questione del sonno polifasico ( più sonnellini brevi durante l'arco delle 24 ore), a cui molti individui sembrano ricorrere e che ha caratterizzato la vita di Leonardo da Vinci, ma anche quella di Thomas Edison, Buckminster Fuller, Nikola Tesla, Benjamin Franklin, Thomas Jefferson, e Napoleone. Il sonno polifasico ha infatti fatto parte della vita di molti geni nella nostra storia, che, in modo inaspettato hanno abbandonato il ciclo circadiano o bifasico per prediligere quello polifasico. Comunque, molte restano le dimensioni da indagare del sonno e la ricerca è in continua evoluzione. Mi fermo qui a ribadire che rispetto alla propria dimensione del sonno ( laddove non sia stato diagnosticato un disturbo vero e proprio) è importante considerare: 1) che non esistano fattori ormonali o neurologici o farmaci che si assumono che impattano sulla capacità di un sonno regolare ( se ce ne sono si devono valutare col proprio medico le soluzioni ed anche provare ad accettare che il proprio sonno forse non potrà essere del tutto regolare) 2) che brevi periodi di sonno irregolare, per quanto ci appesantiscono, possono presentarsi e non è certo sviluppando vissuti ansiosi ( "non dormirò più!") che ci aiutiamo, se mai dandoci messagi positivi 3) regolarità di orari, di "rituali" ( leggere, bere una tisana o ciò che si sente più appropriato), laddove è possibile usarli, sono di sostegno a un buon sonno 4) che non sono le "abbuffate" di sonno che ci aiutano a regolarizzare il sonno ma cercare di capire come trovare il tempo per dormire il giusto numero di ore e come ridurre lo stress per arrivare comunque all’appuntamento con Morfeo stanchi. 5) di evitare sostanze e attività eccitanti e attivanti prima di dormire 6) di valutare la questione sonno in un ampio contesto di vita ( fonti di stress, incapacità a lasciarsi andare, sentire il bisogno di stare sempre in allerta). Ci sono momenti di vita, di per sè stressanti in cui è momentaneamente normale che il sonno sia irregolare ( lutti, delusioni relazionali o lavorative,malattie, nascita di un figlio ecc). Quello che si può fare in questi casi è solo cercare di organizzarsi i proprio spazi e momenti antistress. Se non persistono condizioni oggettive di stress, interroghiamoci allora su quale sia il modo in cui magari senza accorgene ci stiamo stressando o ci stiamo creando frustrazione, o sul perchè non stiamo usando tutte le nostre energie, così da non riuscire ad arrenderci al sonno. E prima di autodiagnosticarci un disturbo del sonno, se mai, chiediamo informazioni e sostegno ad un esperto. In alcuni casi una semplice consulenza che permette di liberarsi del peso " non sto dormendo" e riesce a facilitare un'appropriazione di senso a riguardo, è risolutiva. 7)che durante le diverse età e diverse fasi di vita è normale che il sonno si modifichi. 8) di usare la visualizzazione di immagini rilassanti, il rilassamento muscolare e frasi positive per lasciarsi andare al sonno Ed infine solo una riflessione che prendo in prestito dal critico d'arte Jonathan Crary, secondo il quale: il sonno interrompe il furto di tempo che il sistema capitalistico compie ai nostri danni. La maggior parte delle necessità apparentemente fondamentali della vita umana - dalla fame alla sete all'impulso sessuale, al bisogno, più recente, di amicizia - sono state riproposte in versioni mercificate o finanziarizzate. Il sonno pone il problema di un bisogno umano che si può soddisfare solo in un certo intervallo di tempo e non può quindi essere asservito e aggiogato a una macchina per fare profitti, offrendosi come un'incongrua eccezione, una vera e propria area di crisi nell'ambito della attuale globalizzazione. Insomma, prendendo spunto dal suo pensiero, mi viene da dire, se ci troviamo a non dormire troppo bene e a soffrirne, assicuriamoci anche che, tutti presi dai meccanismi ormai sin troppo avviati ed automatici del nostro mondo occidentale, non ci stiamo facendo rubare la vita da ritmi sbagliati e falsi bisogni imposti dall'esterno che ci allontanano da bisogni più profondi, veri e salutari. Sogni d'oro.

giovedì 8 ottobre 2015

Natural-mente: breve post sull'importanza del contatto con la natura per il benessere

Eccomi di nuovo per scrivere solo poche righe sull'importanza del contatto con la natura. Soprattutto in contesti urbani e metropolitani il contatto con la natura diventa quasi un'impresa, a meno che non ci si voglia limitare alle proprie piante in balcone, per chi ce l'ha! Eppure guardare un paesaggio naturale, sentire i suoi odori, toccarne la sostanza, sono sensazioni uniche e rigeneranti. Per quanto proprio di contro all'urbanizzazione selvaggia e spazi metropolitani sempre più alienanti in questi anni si sta sempre più sviluppando una sorta di sensibilità sociale verso l'ambiente e i suoi prodotti naturali, ho l'impressione, anche nella mia pratica clinica, che molti tra noi siano come distratti, disattenti o dimentichi di questo rapporto con l'ambiente e di quanto sia importante. E molto spesso si sottovaluta anche quanto l'incontro con la natura (un'esperienza che almeno in alcuni posti dove il verde è a portata di mano o organizzandosi un pò si raggiunge con facilità e quasi a costo zero) sia fondamentale per il nostro benessere. "Non ne posso più tutto il giorno in ufficio/officina/azienda/casa ecc.", "La mia vita è troppo sedentaria", " Vorrei cambiare aria ma con il lavoro, i soldi, il resto, come si fa" tutte frasi che ci sarà capitato di dire o udire e che di certo hanno un loro legittimo fondamento nella frenesia dei nostri giorni ma che comunque ci limitano ad una realtà materiale di cemento, senza farci considerare che un tuffo nel verde o nel blu possono essere davvero rivitalizzanti. Spesso, è complice di questa rinuncia alla natura la credenza di dover fare chissà quali viaggi o spostamenti e chissà quanto tempo, quanti soldi, e così in preda a questa convinzione si passa il tempo a dolersi più che a godersi la propria piccola oasi di tranquillità. Una nuova ricerca ha confermato che passeggiare a contatto con la natura ha un effetto rigenerante sul cervello e aumenta i livelli di attenzione e inibisce la formazione di pensieri negativi che possono sfociare in gravi patologie come la depressione. Quando siamo tra gli alberi il battito cardiaco rallenta, la pressione si abbassa e l’umore migliora così rapidamente che medicine, terapie e analisi sembrano miseri palliativi al confronto. Lo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, è stato condotto da Gregory Bratman, dottorando in biologia all’Università di Stanford. Il ricercatore ha radunato 38 persone che vivono in zone urbane, le ha divise in due gruppi e le ha invitate a camminare per 90 minuti. Metà gruppo ha passeggiato in un parco vicino al campus di Stanford, mentre gli altri hanno camminato lungo una strada trafficata nel centro di Palo Alto, California.Prima e dopo la passeggiata ai partecipanti è stato sottoposto un questionario volto a misurare la loro tendenza alla formulazione di pensieri negativi autoreferenziali che aumentano il rischio di depressione. I volontari sono inoltre stati sottoposti a scansioni cerebrali focalizzate su una regione del cervello chiamata corteccia prefrontale subgenuale, area collegata all’autostima che risulta particolarmente attiva mentre si fanno pensieri negativi su se stessi.I risultati hanno evidenziato che le persone che hanno camminato nel parco hanno mostrato una diminuzione dei pensieri negativi. Le risposte al questionario sono state differenti dopo la passeggiata e l’attività cerebrale ha confermato il cambiamento di umore. "Stare a contatto con la natura, anche per breve tempo, aiuta a ridurre i modelli di pensiero associati in alcuni casi a patologie come la depressione”, ha dichiarato l’autore principale dello studio. La ricerca deve essere i certo approfondita ed estesa ad un campione maggiore di soggetti, rappresenta comunque la prova scientifica dei benefici sul nostro organismo derivanti dall’esposizione alla natura. Ora, certo non vuol dire che con una camminata in ambiente naturale tutti i nostri problemi possano risolversi, ma di certo riconsiderare in un'ottica di benessere generale della persona il contatto con la natura credo sia importante e per certi versi molto stimolante ( ad esempio divertirsi a scoprire luoghi vicini o lontani o magari ricavarsi il proprio angolo di ritiro nel parco vicino casa se c'è). Sperando di essere stata di stimolo, chiudo augurando a tutti una buona passeggiata!

Dalla fuga al viaggio

Ecco un'altra intervista, altre righe preziose che alcuni dei miei pazienti di tanto in tanto accettano di donarmi per questo blog, con l'intento di condividerle con altri che più o meno si rivedranno in loro. A presto anche con altri post. INTERVISTA IO:eccoci qui Simona, ti va allora di raccontare un pò per quale motivo eri venuta da me? S.: si certo, lo sai che non ho problemi a parlare, se mai il contrario, a star zitta! Comunque era tre anni fa, e mi ero ritrovata un giorno a riflettere sul fatto che nelle storie...chiamiamole così mi ritrovavo sempre allo stesso punto e comunque non ero felice. Anzi in realtà le cose erano un pò cambiate per me, dacchè ero sempre io ad inseguire gli uomini, negli ultimi anni erano loro che inseguivano me e io a fuggire o maltrattarli. IO: e quindi? S.: eh...e quindi è iniziata l'avventura, mamma mia...quante cose ho dovuto guardare da vicino, a volte non è stato facile, ma poi piano piano è come se avessi incominciato a mettere assieme i pezzi e ho capito meglio qualcosa di me, mi sono vista sotto una nuova luce. Io: puoi spiegare meglio? S: si certo. Beh ho capito che in un modo o nell'altro cercavo l'impossibile, l'uomo che non potevo avere o quello che giudicavo inadatto. E soprattutto ho capito che in qualche modo o mi mettevo nella situazione sbagliata o usavo comportamenti sbagliati, perchè il mio obiettivo, anche se mi dicevo di voler stare in coppia, era la fuga. Io: è come è avvenuto il passaggio successivo? S.:eh...bella domanda...so solo che ho iniziato a capire che appunta mi sentivo sempre lontana da ciò che volevo, sempre in ansia rispetto alle mie relazioni e piano piano ho capito che ero io la prima responsabile del tutto e che quindi solo io potevo cambiare le cose. Io: va bene, se tu non hai altro da dire per me possiamo fermarci, hai già dato un'idea del tuo percorso. Va bene come titolo dell'intervista "dalla fuga al viaggio"? S.: si, si va benissimo è esattamente come mi sento, tranquilla nell'incontare e nello stare col mio uomo, non sempre con quell'ansia di dover essere sempre vicina o sempre abbastanza lontana. Grazie di avermi aiutata. Io: grazie a te di avermi permesso di accompagnarti in questo viaggio.